Le difficoltà provocate dall’adozione delle Linee Guida per le Piscine imposte anche ai Parchi Acquatici nonostante la notevole differenza tra queste realtà

L’apertura dei parchi acquatici alle prese con il Covid-19 è stata particolarmente difficile in questa stagione 2020, appena avviata. Oltre cento strutture hanno dovuto fare i conti con le linee guida sulle piscine emanate dalla Conferenza delle Regioni e da singoli enti locali, che hanno recepito alcune indicazioni tratte da uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità.
Un parco acquatico non ha molto a che fare con una piscina natatoria sul piano gestionale. Si tratta dell’esercizio di un’attività di carattere ludico, dove non c’è agonismo o pratica del nuoto, ma divertimento. Lo sanno tutti, ma non il consulente esterno che ha fatto parte del gruppo di lavoro del’ISS. Sono così apparse nelle Linee guida sulle piscine che presentano aspetti veramente discutibili.
La cuffia è obbligatoria nei parchi acquatici?
Tra le questioni peggio gestite c’è quella dell’obbligo della cuffia. Una previsione delle Linee guida sulle piscine obbliga i parchi acquatici all’uso delle cuffie, secondo “consuete norme di sicurezza” che consuete non lo sono più, in quanto da anni la normativa nazionale, regionale e quella tecnica UNI non ne prevede l’obbligo. Ecco la frase: ”Si rammentano le consuete norme di sicurezza igienica in acqua di piscina tra cui prima di entrare nell’acqua di vasca provvedere ad una accurata doccia su tutto il corpo; è obbligatorio l’uso della cuffia; ai bambini molto piccoli far indossare i pannolini contenitivi”. Non corrisponde infatti a verità infatti che esista un obbligo normativo di usare le cuffie, soppresso dal 2003. Era stata poi prevista la “doccia saponata”, essere mitologico composto da una doccia e da un flacone di sapone, uniti indissolubilmente. Poi la Conferenza delle Regioni, nel corso delle revisioni delle linee guida, l’ha trasformata in “accurata doccia”, più praticabile.
Le vasche per la balneazione – cioè il nuoto – non equivalgono a quelle dei parchi acquatici
Altra anomalia riguarda la assimilazione delle vasche per la balneazione in piscine finalizzate al gioco acquatico. Ecco la frase delle linee guida, ispirata al documento dell’Istituto Superiore di Sanità: “Le piscine finalizzate a gioco acquatico in virtù della necessità di contrastare la diffusione del virus, vengano convertite in vasche per la balneazione. Qualora il gestore sia in grado di assicurare i requisiti nei termini e nei modi del presente documento, attenzionando il distanziamento sociale, l’indicatore di affollamento in vasca, i limiti dei parametri nell’acqua, sono consentite le vasche torrente, toboga, scivoli morbidi”. Strana la sintassi, compare un congiuntivo esortativo – che ricorda il “venghino, signori, venghino” del luna park, che non è esattamente il lessico di una norma tecnica o linea guida, chiamata ad esporre con chiarezza ciò che è, o non è, obbligatorio. Potrebbe essere infatti compreso come un’esortazione, non una affermazione.
Nei parchi acquatici sono presenti piscine a forma libera, con profondità limitata, che parte da un centimetro e non hanno nulla di assimilabile a “vasche per la balneazione”. Chi ha scritto questo periodo mostra di aver effettuato un ragionamento semplicistico, segno di una competenza limitata del prodotto parco acquatico o comunque la volontà di effettuare assimilazioni improprie e poco realistiche, forzando un ragionamento errato nelle premesse. Anche l’uso di espressioni non tecniche, come “vasche torrente, toboga, scivoli morbidi” dimostrano l’utilizzo di un linguaggio inadeguato, quanto meno rispetto al settore dei parchi acquatici. Cercare “vasche torrente” su Google mostra risultati del tutto diversi da quello che l’autore voleva indicare. In una Linea guida o una norma tecnica il lessico corretto, corrispondente a quello usato da progettisti e gestori, è quanto mai necessario. Qui sono stati inventati neologismi, tipici di chi non domina il linguaggio tecnico e commerciale, che rendono il documento ISS poco chiaro.
I 7 mq/persona nei parchi acquatici
Sul rapporto di 7mq/persona si è detto e scritto già molto. È curioso rilevare la scarsa razionalità con la quale si è imposto un distanziamento più importante nell’acqua, la cui sanificazione è garantita dalla presenza del cloro, rispetto allo spazio esterno, nel quale la distanza interpersonale è di un metro. Anche l’aver ignorato la possibilità che persone conviventi possano evitare il distanziamento di fatto impedisce ai genitori di vigilare sulla sicurezza dei propri bambini, che magari non sanno nuotare, in quanto impossibilitati a tenerli per mano o vicini. Di fatto, se le regioni non avessero razionalizzato queste indicazioni, il consulente dell’ISS – esponente di una associazione di categoria, il quale rivendica pubblicamente la paternità di queste indicazioni – avrebbe ottenuto la totale chiusura dei parchi acquatici italiani, lasciando senza lavoro quasi 20.000 persone.
Le Regioni poi, rilevando l’incongruenza tra le distanze interpersonali per le piscine termali, non clorate ma con indice 4mq/persona, e quello dei parchi acquatici, quasi doppio, hanno poi assimilato le piscine dei parchi di divertimento a quelle termali, per quanto riguarda le capienze, e rimosso in alcuni casi i vincoli relativi agli scivoli acquatici, altrimenti la maggior parte dei parchi acquatici sarebbero rimasti chiusi, con danni incalcolabili.
In effetti una decina di aziende, tra le quali quelle che gestiscono strutture note a livello internazionale, hanno deciso di rinunciare alla stagione 2020, alle condizioni poste dall’ISS e purtroppo riprese dalle linee guida regionali, nella loro prima stesura.
Mentre finalmente è stato possibile autorizzare la riapertura di sport di contatto, i parchi acquatici combattono ancora con le previsioni di linee guida tratte da indicazioni discutibili e poco razionali, purtroppo diffuse attraverso un Ente qualificato. Ci sono almeno 1.500 persone che a causa di disposizioni non approfondite né condivise con i diretti interessati ma con sedicenti esperti, sono rimaste senza lavoro perché alcuni parchi acquatici hanno deciso di non aprire nella stagione 2020, tra i quali strutture molto note, a causa delle restrizioni che avrebbero condizionato troppo l’esperienza offerta, con danni economici e costi sociali rilevanti.
L’esperienza con il Covid-19 e il continuo lavoro sulle Linee guida ha messo in evidenza come in Italia ci sia carenza di studi e ricerche che sarebbero state utili. In particolare uno studio sugli effetti del cloro in piscina per combattere la diffusione dei virus e la classificazione delle attività secondo il rischio, effettuata dall’INAIL sulla base di statistiche sugli infortuni sul lavoro, assai poco mirate rispetto agli obiettivi posti dal Governo. Il disastro posto dalla scelta di usare i codici ATECO per classificare le attività economiche – mai chiudendo le lavanderie perché serviva di tenere aperte quelle industriali per gli ospedali, e le profumerie, solo per distribuire flaconcini di disinfettante – ha mostrato una gestione del problema Covid-19 priva di programmazione e banche dati, che si fa prima, non durante una pandemia.